mercoledì 29 agosto 2007

Mellarini: riprendere la trattativa

Si è svolta oggi l’assemblea dei dipendenti della Trentino Spa per fare il punto della trattativa per il rinnovo del contratto aziendale dopo la sospensione del maggio scorso. Dopo la rottura della trattativa abbiamo coinvolto l’Assessore Tiziano Mellarini, anche in qualità di presidente del CDA della Trentino Spa, per chiedere un Suo intervento teso a sbloccare la trattativa e quindi giungere in tempi brevi alla firma del contratto aziendale.
Ricordiamo che la trattativa si è arenata perché da parte della Direzione non esisteva una reale volontà a prendere in considerazione e dare risposte positive alle richieste, sia normative che salariali, contenute nella piattaforma. Da qui la richiesta di coinvolgere nella trattativa la stessa sia la presidenza della Trentino Spa sia l’Assessore al Commercio come responsabile dell’attuazione del protocollo sindacale sulla costituzione della Trentino Spa. Protocollo che risale al 2003.
Nell’incontro L’Assessore ha chiesto alla delegazione sindacale di attendere la definizione del nuovo CDA e delle nuove deleghe interne per poi fissare l’incontro per la ripresa della trattativa. Noi abbiamo accettato questa spostamento temporale della trattativa ma, purtroppo, nonostante la nostra lettera di sollecito del 20 agosto scorso, ad aggi non è arrivata nessuna proposta di convocazione per la ripresa della trattativa.
I lavoratori hanno giudicato negativamente sia questo atteggiamento dilatorio messo in atto dai responsabili aziendali sia il mancato rispetto degli impegni assunti nell’incontro del maggio scorso. Per questo si vuole richiamare il CDA alle proprie responsabilità ed al mantenimento degli impegni assunti ricordando il fatto, non secondario, che se l’azienda in questi mesi di trambusto interno ai vertici aziendali, l’azienda ha continuato a funzionare questo è dovuto principalmente all’impegno ed alla professionalità dei dipendenti che sono riusciti a sopperire all’assenza di una vera direzione. Direzione tutta impegnata in dispute interne che sicuramente non hanno fatto il bene dell’azienda e che non hanno permesso quel proficuo confronto con i lavoratori sia sul versante contrattuale che organizzativo.
Alla luce di quanto sopra, i lavoratori e le lavoratrici della Trentino Spa, nel ribadire la loro netta contrarietà a questo modo di procedere, e al fine di dare un preciso segnale ai nuovi vertici aziendali, ha proclamato lo stato di agitazione ed hanno delegato la RSA aziendale ad assumere le iniziative necessarie per la riapertura della trattativa e perché il confronto sia proficuo e ci porti alla firma del contratto aziendale.
Attendiamo fiduciosi un preciso segnale da parte del presidente Tiziano Mallarini per concordare giorni ed ora del prossimo incontro ma nello stesso tempo ribadiamo che senza un’inversione di rotta i lavoratori assumeranno le iniziative di merito che tale situazione richiede.

la Filcams Cgil del Trentino e la RSA aziendale

Trento 29 agosto 2007

lunedì 20 agosto 2007

Comunicato incontro

Abbiamo ricevuto in data odierna il fax della Direzione aziendale che si rende disponibile ad effettuare l’incontro da noi richiesto per le problematiche inerenti le lavoratrici del settore pulimento all’ospedale di Rovereto per la seconda settimana di settembre.Facciamo presente ai lavoratori che nell’incontro saranno affrontate anche le problematiche riguardanti la situazione degli spogliatoi che come Filcams Cgil abbiamo già fatto presente, in via informale, all’Assessore Andreolli ed al quale abbiamo richiesto un intervento, presso la Direzione dell’Ospedale, in merito alla situazione inaccettabile degli spogliatoi.Anche al fine di dare un concreto segno della nostra disponibilità in previsione dell’incontro sopra richiamato abbiamo deciso di sospendere, in attesa dell’incontro, la protesta sulle scarpe anti-infortunistiche.Sarà nostra cura informare, con apposita assemblea le lavoratrici ed i lavoratori di quanto emergerà dal suddetto incontro.

La Filcams Cgil del Trentino

Trento, 20 agosto ’07

martedì 14 agosto 2007

Welfare - quale democrazia

Abbiamo letto le prese di posizione dei compagno Caramelle Carotta e Casagranda, e la risposta del segretario Purin rispetto al protocollo sul Welfare e riteniamo che se esiste qualcosa di improprio è il fatto che siano richiamati i compagni che esprimono dissenso verso un accordo che giudicano in modo negativo chiamando in causa percorsi interni e il rispetto della democrazia.

Sarebbe troppo facile polemizzare che mentre questi politici hanno avviato una campagna vergognosa sul fatto che non ci sono risorse per le pensioni dieci giorni dopo si aumentano la paga di 7340,00 euro mensili. Alla faccia delle scelte di equità sociale.

Ma fuori da queste facili, ma non infondate polemiche, anche noi giudichiamo negativo in quanto non rispettoso dei mandati congressuali della CGIL, sia per il fatto che ancora una volta gli aspetti negativi (scalone, legge 30, contralti a termine, precarietà, ed aumento dell'età pensionabile, l'illusione dei giovani che stando all'accordo il 60% sembra essere una chimera) superano di gran lunga quelli "positivi" come l'aumento delle pensioni e/o a disoccupazione.

Noi crediamo che esprimere pubblicamente le varie posizioni su questo accordo, serva a ad aprire un dibattito fra i lavoratori fin da ora e quindi utilizzare il periodo che ci separa dal voto referendario (perché caro Purin la democrazia pretende che il voto sia certificato) per discutere a fondo i contenuti di tale accordo e quindi evitare che il lavoratore sia costretto a decidere in pochi minuti alla fine di un'ora di assemblea.

Inoltre non si capisce cosa significhi che prima bisogna discuterne internamente alla Cgil e poi con Cisl e Uil? Che forse bisogna trovare forme di incartamento del libero pensare o dei giudizi negativi? O forse si cerca di confezionare una posizione evitando che i lavoratori decidano dopo un confronto vero in assemblea e dopo aver letto anche tramite stampa dei vari giudizi sui contenuti dell'accordo. Forse qualcuno teme che i lavoratori leggendo le posizioni critiche esprimano possano farsi un'idea vera, non addomesticata dal Governo amico, dei contenuti dell'accordo del 23 luglio 07 ?

Infine riteniamo il richiamo alla manifestazione del 20 ottobre 07 una vera e propria forzatura del pensiero espresso dai compagni Casagranda Carotta e Caramelle i quali hanno contestato i punti negativi dell'accodo e che a loro e a nostro avviso, sono in netto contrasto con le tesi del nostro ultimo congresso. Naturalmente cambiare posizione è legittimo ma per cambiare le decisioni congresso serve un altro congresso e non solo un governo amico.

Speriamo che a settembre si arrivi ad una grande assemblea dei delegati dove discutere sui contenuti di questo accordo fuori dalle logiche politiche ma con il solo riferimento ai deliberati congressuali.

Democrazia è anche coerenza con le scelte e le decisioni del congresso, il resto è adeguamento alla situazione e quindi rinunciare a battersi per migliorare le condizioni di . chi lavora.

Andrea Mazzoleni - ORVEA Cristian Casassa - RSA CAVIT Tenuta Swetlana - RSA ORVEA - Soini Nicoletta - RSA Coop Altogarda - Giacomelli Lara - UNIFARM - Serra Omar- DUSSMANN (ex Pedus)

Trento, 10 agosto '07

mercoledì 8 agosto 2007

Perchè VOTARE NO all'accordo

Il Protocollo sul Welfare del 20 luglio 2007, sottoscritto da CISL e UIL ma anche dalla CGIL, con delle riserve rappresenta l’esito negativo di una trattativa anomala in cui la CGIL, a fronte di una forsennata aggressione ideologica e mediatica alle ragioni ed ai valori del lavoro e dello stesso sindacato, ha rinunciato a sviluppare il pieno coinvolgimento e la necessaria mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori.
Il protocollo rappresenta tra l’altro una contraddizione con i contenuti della chiusura unitaria del congresso della CGIL, il quale assumeva il dato della precarietà come elemento da combattere cancellando la legge 30/2003, a riguardo delle pensioni sanciva la necessità di cambiare radicalmente la controriforma del centrodestra per giungere anche ad un trattamento pensionistico adeguato per i precari, per i quali i costi salariali e contributivi devono esser maggiori.
Altra profonda contraddizione è rappresentata tra le altre cose con il programma di governo che prevedeva di “eliminare l’inaccettabile gradino” della Maroni e di introdurre “misure efficaci che accompagnino verso un graduale e volontario innalzamento dell’età media di pensionamento”, oltrechè nell’ambito del “superamento” della L. 30/2003 assicurare la garanzia del lavoro a tempo indeterminato, la “forma normale di occupazione”.
Il fatto è che a scapito di un programma di redistribuzione della ricchezza a vantaggio dei ceti sociali da noi rappresentati il governo è sempre più condizionato dalle componenti moderate e dalla Confindustria, le quali sull’altare della governabilità e del futuro della coalizione hanno imposto al governo Prodi il peggioramento della proposta di mediazione condivisa emblematicamente riassunta dalla frase di Prodi “lo scalone deve esser superato” e hanno di fatto sottoposto a ricatto le organizzazioni sindacali, in primis la CGIL, di divenire il soggetto responsabile della caduta del governo.
L’intera vicenda ripone la questione della salvaguardia della piena autonomia del sindacato rispetto al quadro politico.
Si ritiene importante e positivo che il Comitato Direttivo nazionale della CGIL si sia espresso anche su di un documento alternativo, contrario all’accordo che ha ricevuto una larga adesione.
Una ossessiva campagna ideologica di reticenze e di falsificazioni è stata orchestrata per dimostrare l’impossibilità ed anzi l’illegittimità dell’abolizione dello scalone e la necessità inderogabile dell’età pensionabile: dall’insostenbilità della spesa previdenziale, pesantemente in deficit, a causa dei troppi pensionati e dei pochi contributi, allo scontro tra generazioni, provocato dall’egoismo dei padri che condannerebbe i figli a non avere un domani…
Eppure i dati Istat, i bilanci dell’INPS, le analisi di importanti centri studi dicono che l’allarme sull’emergenza previdenziale, urlato per legittimare ulteriori peggioramenti al sistema pensionistico, è una sfacciata falsificazione. I provvedimenti previdenziali degli anni ’90, che hanno imposto pesanti sacrifici a lavoratori e pensionati, hanno rallentato la dinamica della spesa pensionistica e sostanzialmente stabilizzato il rapporto spesa previdenziale/PIL.
Depurata dalla spesa per prestazioni assistenziali e del Tfr, che certamente non hanno natura previdenziale, e dal prelievo fiscale sulle pensioni la spesa previdenziale è di fatto allineata sui valori medi europei; ed in base ai dati ufficiali di tutte le gestioni pensionistiche il saldo tra entrate contributive e le prestazioni previdenziali al netto delle ritenute fiscali è addirittura positivo per un ammontare pari allo 0,5% del Pil.
Nel ritenere in controtendenza rispetto al passato e quindi esprimendo un giudizio positivo sugli aumenti alle pensioni contributive basse, sulla indennità di disoccupazione e la contribuzione figurativa piena per la disoccupazione ordinaria, non si può rilevare come la bilancia delle risorse redistribuite e quelle risparmiate non penda certo dalla parte delle prime.
Infatti siamo in presenza:
di una finta eliminazione dello scalone che è ammorbidito per il 2008 (58 anni e 35 anni di contributi, anzichè 60 e 35 della Maroni), ma a partire da metà 2009 con gli scalini impropriamente chiamati quote (che stravolgono lo stesso concetto di quota) ci vorranno almeno 36 anni di contributi visto in vincolo dei 59 anni di età della “quota” 95, e con il 2011 60 o 61 anni di età e “quota” 96 quindi rispettivamente 36 o 35 anni di contributi e nel 2013 61 o 62 anni di età, 36 o 35 di contributi della “quota” 97, anticipando di un anno quanto Maroni avrebbe imposto per l’anno 2014;
del positivo aumento da 2 a 4 delle “finestre” per i pensionandi con 40 anni di contributi, si spostano 2 finestre però sulle pensioni di vecchiaia (65 uomini e 60 donne) che di fatto si vedranno aumentare l’età pensionabile di diversi mesi;
di un intervento sui coefficienti al possibile 60% della retribuzione per i giovani lavoratori discontinui, che essendo legato alle compatibilità finanziarie risulta aleatorio; inoltre riferito all’occupazione dei giovani precari, garantirà pensioni equivalenti alle attuali sociali e nulla più;
di un inaccettabile vincolo numerico di 5.000 lavoratori all’anno che potranno beneficiare, evidentemente a norma di una graduatoria, delle agevolazioni pensionistiche per i lavori usuranti, faticosi e pesanti;
della decontribuzione dello straordinario che diminuirà le entrate agli istituti previdenziali e aumenterà il lavoro straordinario garantito alle imprese ad un costo più basso; analogo ragionamento si riferisce anche alla decontribuzione del secondo livello di contrattazione;
dell’insufficiente liquidazione dell’impegno di superare la legge 30/2003 con l’orientamento del governo all’eliminazione del solo lavoro a chiamata e rimandando a successivi confronti tra le parti per le eventuali forme di part-time per esigenze di attività di breve durata, mantiene di fatto inalterata la portata negativa della legge stessa;
della reiterazione con accordi presso le Direzioni lavoro di contratti a tempo determinato anche oltre i 3 anni anche non continuativi perpetua una condizione lavorativa precaria inaccettabile; sul lavoro a somministrazione (Interinale) e per le nuove attività non è previsto alcun vincolo temporale e quindi un lavoratore può essere somministrato e precario a vita.
Complessivamente ragionando, quindi, si ricava un quadro d’insieme dove per l’ennesima volta è richiesto alle organizzazioni sindacali un atto di responsabilità sulle compatibilità forse non tanto economiche (vista la ripresa dell’economia, le maggiori entrate, il “tesoretto”) quanto quelle degli equilibri con i poteri forti che periodicamente richiamano la classe lavoratrice ad ulteriori sacrifici.
Si ritiene indispensabile una ridiscussione dell’intero accordo ed una approvazione di una nuova conseguente legge che redistribuisca risorse a vantaggio dei ceti di popolazione più deboli.
A tal fine è necessario a settembre mettere in campo la mobilitazione dei lavoratori per riaprire la trattativa.
Il referendum dovrà essere lo strumento di consultazione dei lavoratori nel quale sia le esplicitazioni riferite alle riserve apposte dalla CGIL quanto le espressioni negative contribuiranno all’azione di mobilitazione e di partecipazione per la ridiscussione dei vari contenuti dell’accordo.

Mirco Carotta – Cambiare Rotta Lavoro Società
Roland Caramelle – Rete28Aprile nella Cgil per l’indipendenza e la democrazia sindacale
Ezio Casagranda – Segr. Gen. Filcams Cgil del Trentino

Trento, 8 agosto 2007