Il Protocollo sul Welfare del 20 luglio 2007, sottoscritto da CISL e UIL ma anche dalla CGIL, con delle riserve rappresenta l’esito negativo di una trattativa anomala in cui la CGIL, a fronte di una forsennata aggressione ideologica e mediatica alle ragioni ed ai valori del lavoro e dello stesso sindacato, ha rinunciato a sviluppare il pieno coinvolgimento e la necessaria mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori.
Il protocollo rappresenta tra l’altro una contraddizione con i contenuti della chiusura unitaria del congresso della CGIL, il quale assumeva il dato della precarietà come elemento da combattere cancellando la legge 30/2003, a riguardo delle pensioni sanciva la necessità di cambiare radicalmente la controriforma del centrodestra per giungere anche ad un trattamento pensionistico adeguato per i precari, per i quali i costi salariali e contributivi devono esser maggiori.
Altra profonda contraddizione è rappresentata tra le altre cose con il programma di governo che prevedeva di “eliminare l’inaccettabile gradino” della Maroni e di introdurre “misure efficaci che accompagnino verso un graduale e volontario innalzamento dell’età media di pensionamento”, oltrechè nell’ambito del “superamento” della L. 30/2003 assicurare la garanzia del lavoro a tempo indeterminato, la “forma normale di occupazione”.
Il fatto è che a scapito di un programma di redistribuzione della ricchezza a vantaggio dei ceti sociali da noi rappresentati il governo è sempre più condizionato dalle componenti moderate e dalla Confindustria, le quali sull’altare della governabilità e del futuro della coalizione hanno imposto al governo Prodi il peggioramento della proposta di mediazione condivisa emblematicamente riassunta dalla frase di Prodi “lo scalone deve esser superato” e hanno di fatto sottoposto a ricatto le organizzazioni sindacali, in primis la CGIL, di divenire il soggetto responsabile della caduta del governo.
L’intera vicenda ripone la questione della salvaguardia della piena autonomia del sindacato rispetto al quadro politico.
Si ritiene importante e positivo che il Comitato Direttivo nazionale della CGIL si sia espresso anche su di un documento alternativo, contrario all’accordo che ha ricevuto una larga adesione.
Una ossessiva campagna ideologica di reticenze e di falsificazioni è stata orchestrata per dimostrare l’impossibilità ed anzi l’illegittimità dell’abolizione dello scalone e la necessità inderogabile dell’età pensionabile: dall’insostenbilità della spesa previdenziale, pesantemente in deficit, a causa dei troppi pensionati e dei pochi contributi, allo scontro tra generazioni, provocato dall’egoismo dei padri che condannerebbe i figli a non avere un domani…
Eppure i dati Istat, i bilanci dell’INPS, le analisi di importanti centri studi dicono che l’allarme sull’emergenza previdenziale, urlato per legittimare ulteriori peggioramenti al sistema pensionistico, è una sfacciata falsificazione. I provvedimenti previdenziali degli anni ’90, che hanno imposto pesanti sacrifici a lavoratori e pensionati, hanno rallentato la dinamica della spesa pensionistica e sostanzialmente stabilizzato il rapporto spesa previdenziale/PIL.
Depurata dalla spesa per prestazioni assistenziali e del Tfr, che certamente non hanno natura previdenziale, e dal prelievo fiscale sulle pensioni la spesa previdenziale è di fatto allineata sui valori medi europei; ed in base ai dati ufficiali di tutte le gestioni pensionistiche il saldo tra entrate contributive e le prestazioni previdenziali al netto delle ritenute fiscali è addirittura positivo per un ammontare pari allo 0,5% del Pil.Nel ritenere in controtendenza rispetto al passato e quindi esprimendo un giudizio positivo sugli aumenti alle pensioni contributive basse, sulla indennità di disoccupazione e la contribuzione figurativa piena per la disoccupazione ordinaria, non si può rilevare come la bilancia delle risorse redistribuite e quelle risparmiate non penda certo dalla parte delle prime.
Infatti siamo in presenza:
di una finta eliminazione dello scalone che è ammorbidito per il 2008 (58 anni e 35 anni di contributi, anzichè 60 e 35 della Maroni), ma a partire da metà 2009 con gli scalini impropriamente chiamati quote (che stravolgono lo stesso concetto di quota) ci vorranno almeno 36 anni di contributi visto in vincolo dei 59 anni di età della “quota” 95, e con il 2011 60 o 61 anni di età e “quota” 96 quindi rispettivamente 36 o 35 anni di contributi e nel 2013 61 o 62 anni di età, 36 o 35 di contributi della “quota” 97, anticipando di un anno quanto Maroni avrebbe imposto per l’anno 2014;
del positivo aumento da 2 a 4 delle “finestre” per i pensionandi con 40 anni di contributi, si spostano 2 finestre però sulle pensioni di vecchiaia (65 uomini e 60 donne) che di fatto si vedranno aumentare l’età pensionabile di diversi mesi;
di un intervento sui coefficienti al possibile 60% della retribuzione per i giovani lavoratori discontinui, che essendo legato alle compatibilità finanziarie risulta aleatorio; inoltre riferito all’occupazione dei giovani precari, garantirà pensioni equivalenti alle attuali sociali e nulla più;
di un inaccettabile vincolo numerico di 5.000 lavoratori all’anno che potranno beneficiare, evidentemente a norma di una graduatoria, delle agevolazioni pensionistiche per i lavori usuranti, faticosi e pesanti;
della decontribuzione dello straordinario che diminuirà le entrate agli istituti previdenziali e aumenterà il lavoro straordinario garantito alle imprese ad un costo più basso; analogo ragionamento si riferisce anche alla decontribuzione del secondo livello di contrattazione;
dell’insufficiente liquidazione dell’impegno di superare la legge 30/2003 con l’orientamento del governo all’eliminazione del solo lavoro a chiamata e rimandando a successivi confronti tra le parti per le eventuali forme di part-time per esigenze di attività di breve durata, mantiene di fatto inalterata la portata negativa della legge stessa;
della reiterazione con accordi presso le Direzioni lavoro di contratti a tempo determinato anche oltre i 3 anni anche non continuativi perpetua una condizione lavorativa precaria inaccettabile; sul lavoro a somministrazione (Interinale) e per le nuove attività non è previsto alcun vincolo temporale e quindi un lavoratore può essere somministrato e precario a vita.
Complessivamente ragionando, quindi, si ricava un quadro d’insieme dove per l’ennesima volta è richiesto alle organizzazioni sindacali un atto di responsabilità sulle compatibilità forse non tanto economiche (vista la ripresa dell’economia, le maggiori entrate, il “tesoretto”) quanto quelle degli equilibri con i poteri forti che periodicamente richiamano la classe lavoratrice ad ulteriori sacrifici.
Si ritiene indispensabile una ridiscussione dell’intero accordo ed una approvazione di una nuova conseguente legge che redistribuisca risorse a vantaggio dei ceti di popolazione più deboli.
A tal fine è necessario a settembre mettere in campo la mobilitazione dei lavoratori per riaprire la trattativa.
Il referendum dovrà essere lo strumento di consultazione dei lavoratori nel quale sia le esplicitazioni riferite alle riserve apposte dalla CGIL quanto le espressioni negative contribuiranno all’azione di mobilitazione e di partecipazione per la ridiscussione dei vari contenuti dell’accordo.
Mirco Carotta – Cambiare Rotta Lavoro Società
Roland Caramelle – Rete28Aprile nella Cgil per l’indipendenza e la democrazia sindacale
Ezio Casagranda – Segr. Gen. Filcams Cgil del Trentino
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